Una Spada, anzi un… “Gladius” verso il cielo!

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Uno dei settori dell’astronomia in cui gli astrofili impegnati possono contribuire con risultati non solo esteticamente piacevoli, ma anche validi dal punto di vista scientifico, è sicuramente la ripresa ad alta risoluzione dei corpi del Sistema Solare. Questo tipo di osservazione spinge al limite tutte le caratteristiche della strumentazione, dall’ottica e al sensore di ripresa.

Il Gladius è un telescopio specifico per l’osservazione e la ripresa ad alta risoluzione. Di seguito se ne presenta una dettagliata recensione.

Introduzione

Uno dei settori dell’astronomia in cui gli astrofili impegnati possono contribuire con risultati non solo esteticamente piacevoli, ma anche validi dal punto di vista scientifico, è sicuramente la ripresa ad alta risoluzione dei corpi del Sistema Solare. Questo tipo di osservazione spinge al limite tutte le caratteristiche della strumentazione, dall’ottica e al sensore di ripresa. I fattori più importanti sono quindi:

  1.  Caratteristiche dell’atmosfera (in primis, il seeing e la trasparenza);
  2. Caratteristiche dello strumento di ripresa (diametro, lunghezza focale, ostruzione, correzione complessiva dell’ottica)
  3. Caratteristiche del sensore di ripresa (dimensioni, sensibilità, numero di pixel, ecc)
  4. Bravura della persona nel cogliere il “momento migliore” e nella fase di elaborazione.

Concentrando la nostra attenzione sulle ottiche, esistono elle configurazioni che sono notoriamente più adatte all’astronomia ad alta risoluzione, che hanno in comune alcune caratteristiche:

  • Diametro generoso. Anche se questo rende più “vulnerabili” al seeing (nel senso di minor numero di serate sfruttabili con massimo profitto), è indubbio che per apprezzare i dettagli più fini il diametro è una variabile assai importante;
  • Bassa ostruzione lineare (diminuisce la “dispersione” degli anelli di diffrazione e assicura maggiore contrasto)
  • Buona correzione ottica

Non sono molti gli schemi ottici disponibili sul mercato con queste caratteristiche: i più noti sono i Newton, i Cassegrain classici, i Maksutov-Newton, i Newton (quelli a bassa ostruzione e a raporto focale relativamente lungo), e i Dall-Kirkham. Questa ultima configurazione ottica ha, di norma, un campo corretto abbastanza ristretto, ma stelle molto puntiformi e in generale rapporti focali piuttosto spinti (raramente meno di f/12-f/15). D’altra parte queste sono le caratteristiche che cerchiamo in un siffatto strumento, dato che i soggetti ripresi sono per lo più luminosi e a costrasto abbastanza elevato (certamente, ben superiore a qualsiasi oggetto del cielo profondo). Anche gli Schmidt-Cassegrain e i rifrattori possono dare ottimi risultati, ma gli uni sono viziati da una elevata ostruzione centrale e da una qualità media non sempre eccelsa, mentre gli altri, potenzialmente assai adatti (anzi, forse i più adatti), non possono raggiungere grandi diametri per ragioni strutturali (peso e ingombro) ed economiche.

Recentemente Paolo Lazzarotti, titolare della Lazzarotti Optics, forte della sue esperienza di tecnico e astroimager, si è messo a produrre un telescopio in configurazione Dall-Kirkham, il Gladius. Esso è disponibile in due diametri (10 pollici, cioè 250 mm, Gladius CF 250, e 12.5 pollici, pari a 315 mm, noto con il nome di Gladius CF 315).

Da tempo volevo provare di persona questo telescopio dall’aspetto senz’altro “non convenzionale” per capire, con i miei occhi e la mia telecamera :-), fin dove si potesse arrivare. L’occasione è venuta con lo Star Party di Ostellato, dove Paolo mi ha gentilmente lasciato utilizzare il suo telescopio (nella versione da 315 mm di diametro, esemplare con numero di serie 071001) per l’intera serata di sabato 10 maggio 2008.

Il Gladius da vicino

Il Gladius, pur nella stranezza del suo aspetto, si presenta molto curato nelle finiture fin nei minimi dettagli. Come si diceva prima, la struttura è ridotta all’essenziale: il primario, “nudo”, è sorretto soltanto da un disco di metallo che poggia su un’asta a “L”, la cui parte più lunga, composta da due tubolari in fibra di carbonio (da cui la sigla “CF”, Carbon Fiber), sorregge il secondario (collimabile e registrabile) tramite un supporto circolare. Queste caratteristiche lo rendono assai leggero in relazione al diametro (13 kg per un 315 mm!), e modulare: esso può essere rapidamente smontato in pochi pezzi, riposto comodamente in una valigia, e rimontato in poco tempo. Sia il supporto del secondario sia il lungo tubo che convoglia i raggi verso il fuoco sono interamente ricoperti di velluto nero opaco. Completano il tutto un focheggiatore Crayford di ottima qualità e un buon cercatore.

Detail: the Gladius’ primary mirror covered with its lid and the dewshield

 

The carbon-fiber modular rod, the secondary mirror with its holder
Close-up of the primary mirror, with the carbon fiber truss tubes and their joint
Rear view of with the big primary mirror, crayford focuser and finderscope

Da puro profano (sono un informatico, mica un meccanico 🙂 ), a un primo sguardo questa soluzione potrebbe sembrare un po’ azzardata; come può una sola asta assicurare una corretta e ripetibile collimazione delle ottiche senza incorrere in flessioni? A detta del progettista tuttavia non ci sono problemi strutturali; del resto, anche intuitivamente, il peso del telescopio è quasi tutto sullo specchio primario, per cui l’asta del secondario deve reggere solo una minima frazione del peso totale dello strumento.

L’altra questione è il dubbio che il primario, essendo così scoperto, possa essere vulnerabile all’umidità. Il problema esiste ma è molto meno avvertibile di quanto sembri; la grande inerzia termica dello specchio posticipa infatti la formazione della condensa (niente a che vedere con la lastra correttrice di un catadiottrico); per i casi più “ostinati” è comunque disponibile un paraluce.

Riprendendo i concetti espressi nell’introduzione, questo telescopio possiede numerose caratteristiche che lo rendono assai interessate per l’alta risoluzione:

  • Generoso diametro (315 mm)
  • Bassa ostruzione lineare (0.20)
  • Elevato rapporto focale (f/25), con uno specchio primario a f/4, che nell’esemplare testato permette di raggiungere la ragguardevole focale nativa di 7875 mm (quasi otto metri!);

La caratteristica importante di una focale così elevata è che essa consente di raggiungere un campionamento ottimale senza l’utilizzo di lenti negative o ulteriori elementi ottici interposti. L’assenza di qualunque lastra lo rende inoltre (come del resto il Newton e il Cassegrain classico) completamente trasparente alle radiazioni di corta lunghezza d’onda (es. violetto/ultravioletto per la ripresa di Venere).

Il rapporto focale molto elevato e il campo corretto abbastanza stretto ne limitano pesantemente il campo di utilizzo solo all’alta risoluzione; ma d’altra parte questo è lo scopo per cui è stato concepito, e in questo sicuramente eccelle, come ho avuto modo di verificare personalmente.

Una caratteristica di un rapporto focale così lungo, è il piccolo diametro e l’estrema profondità del cono di luce; per tale motivo, per creare una sfocatura anche lieve bisogna spostarsi di molto dalla posizione di fuoco, cioè avere una lunga escursione di focheggiatura; ricordiamo che il secondario amplifica di oltre sei volte il fuoco del primario! Ciò permette di mettere a fuoco gli oggetti in modo molto preciso, ma crea qualche problema di backfocus, data la corsa normalmente limitata del Crayford; a volte è necessario spostare il secondario in senso longitudinale, tramite avvitamento/svtiamento. Questo è un fattore da sapere e richiede molta attenzione in più nel “fine tuning” dell’ottica rispetto ad un telescopio normale. Ed ecco infine una istantanea con il sottoscritto a fianco del Gladio sulla mia Losmandy G11, per darvi l’idea delle dimensioni dello strumento:

Non c’è che dire, ha una certa presenza (il telescopio, non l’autore 😀 )!

Prova sul campo

La mia formazione “ingegneristica” mi permette sicuramente di apprezzare (e a volte di ricercare) i dettagli e le finezze progettuali, ma come ogni astrofilo che si rispetti, ciò che più conta per me è il risultato sul campo. Ho dunque messo alla prova il Gladius sulla Luna prima e su Saturno poi, in una serata caratterizzata da seeing buono soltanto dal tramonto fino alle 21.30 ora locali, quando le condizioni sono notevolmente peggiorate in concomitanza all’arrivo di nuvolaglia alta e sottile e di un probabile cambiamento nelle correnti di alta quota. Ciò comunque non mi ha impedito di ottenere alcune belle immagini sulla Luna, mentre al momento di riprendere Saturno il seeing si era già deteriorato molto. Ho acquisito diversi filmati al fuoco diretto del Gladius, con la mia Lumenera Lu075M; l’elaborazione dei dati grezzi è stata effettuata con Iris e Photoshop. Ma bando alle ciance, lasciamo parlare le immagini (contenenti ciascuna i relativi dettagli di ripresa):

Moon – Atlas and Hercules Craters

 

Moon – Lunar North Pole

 

Moon – Lacus Mortis

 

Moon – Posidonius Crater

A titolo di confronto, apriamo una parentesi con una ripresa della stessa zona di Posidonius, effettuata con il mio C11, schierato fianco a fianco al Gladio, poco dopo quella effettuata con quest’ultimo. Il rapporto focale è lo stesso (f/25, raggiunto tramite una Televue Powermate 2.5X), ma la focale risultante (ca. 7000 mm), e di conseguenza la scala di immagine, sono un po’ inferiori:

Moon – Posidonius Crater (Celestron C11)

Bisogna ammettere che il mio C11 (che ritengo di buona qualità), nonostante i tre cm di apertura in meno e il lieve peggioramento delle condizioni atmosferiche, fa la sua onesta figura, ma non regge il certamente confronto con il Gladius in quanto a microdettaglio (e gli “handicap” poc’anzi citati non sono certamente sufficienti a spiegare la visibile differenza.

Ma continuiamo con le immagini del Gladius:

Moon – Torricelli Crater

 

Sunup over Theophilus Crater

 

Saturn

Riguardo alle immagini di cui sopra direi ci sia ben poco da commentare; la nitidezza raggiunta (pure se in una serata non eccezionale, forse tranne la prima ripresa) e la ricchezza di dettagli direi siano testimoni inequivocabili della bontà di questa ottica.

A margine della presentazione dei risultati delle riprese, varrà la pena menzionare il fatto che nella seconda parte della serata, peggiorato rapidamente il seeing, ne ho approfittato per fare un po’ il turista del cielo, cosa che peraltro mi capita di rado, indaffarato come sono con ammenicoli elettronici, cavi e computer. Tra gli oggetti osservati, vale la pena di ricordare Saturno stesso, gli ammassi globulari M3 e M13, e la nebulosa planetaria NGC 6543. Ebbene, posso dire che soprattutto la visione del “pianeta inanellato” e degli ammassi globulari erano davvero mozzafiato; le miriadi di stelle che compongono M13, distingubili singolarmente “inondavano” completamente il campo in ogni direzione tanto da far quasi girare la testa!

Conclusioni

Come ogni recensione che si rispetti, è tempo di trarre un bilancio della mia esperienza con questo telescopio davvero particolare. I vantaggi sono numerosi:

  • Bassissima ostruzione e generosa apertura;
  • Assenza di qualunque lastra di vetro e possibilità di avere un’ottima scala di immagine già al fuoco diretto senza alcuna ottica supplementare;
  • Peso notevolmente contenuto in relazione all’apertura, e quindi ottima maneggevolezza;
  • Design meccanico sicuramente interessante;
  • Immagini estremamente contrastate.

In definitiva, secondo il mio modesto parere è difficile pensare a qualcosa di più adatto all’alta risoluzione, punto e basta. Certo, non è che con altri strumenti (es. Newton o alcuni SCT) non si riescano ad ottenere risultati di tutto rispetto. Però, in nessun strumento che mi sia capitato di vedere tutti i dettagli sono così studiati apposta per l’alta risoluzione. E’ tuttavia inevitabile che questo schema così particolare e questa estrema specializzazione portino qualche svantaggio:

  • Per quanto riguarda la ripresa fotografica, il campo di applicazione estremamente specializzato (forse anche troppo? questione di gusti…) e di fatto circoscritto alla sola alta risoluzione degli oggetti del Sistema Solare e a poche altre eccezioni come ammassi globulari o nebulose planetarie);
  • Per quanto riguarda il visuale, certamente non ci si compra uno strumento del genere solo per guardarci dentro, per cui valgono le considerazioni di cui al punto precedente. Però mi preme sottolineare la bellezza di certe visioni (v. poco sopra);
  • “Fine tuning” assai delicato e non sempre intuitivo (es. problema del backfocus, criticità della collimazione, ecc);
  • Campo corretto piuttosto stretto (comunque sufficiente per un CCD o una telecamera di dimensioni medie).

Ultimo ma non meno importante è il prezzo. Non sta a me giudicare se sia adeguato o no; sarà il mercato a decidere. Certamente si tratta di uno strumento estremamente specializzato e ottimizzato: uno strumento non per tutti in ogni aspetto (incluso quello economico), il quale può rendere il massimo (con grandi soddisfazioni!) solo in mano ad una persona esperta; ma il potenziale acquirente del Gladius, che sia in grado di apprezzarne le caratteristiche, di queste cose è già consapevole, non c’è certamente bisogno che sia io a scriverle.

Per quanto mi riguarda, l’aspetto economico è l’unico, vero ostacolo che mi separa dal possedere un Gladius :-(: chissà che in un futuro la situazione non cambi, e che anche io possa quindi “brandire” il mio personale Gladius alla conquista delle (elusive) meraviglie che i corpi del Sistema Solare nascondono ai nostri occhi!!

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